Peccioli all’inizio degli anni Novanta si presenta come un cantiere a cielo aperto in cui sperimentare un nuovo rapporto tra arte e progetto urbano, cercando di unire a una straordinaria vocazione di intervento su tutti i settori non solo la ricerca dell’innovazione, ma anche il potenziale simbolico e immaginativo dell’arte contemporanea. Primo attore di questa performance realizzativa: l’amministrazione pubblica. Obiettivo dichiarato: la ricerca di una possibile cultura dell’abitare o l’ancoraggio a un nuovo contesto locale. Un target non fatto dal pubblico dell’arte, ma dagli abitanti, dai turisti.
Nel tempo si sono succeduti curatori, artisti, una pluralità di progetti, differenti pratiche operative, ma tutto
secondo una strategia unitaria e condivisa ben oltre la singola opera, scendendo nelle strade, invadendo lo
spazio urbano, creando servizi per gli utenti e raccontando un luogo e i suoi abitanti.
I progetti di arte pubblica disseminati nel territorio finiscono infatti per evidenziare una propria topografia
secondo una triplice scala di intervento: paesaggistica, urbana, architettonica.
Quella che è stata realizzata a Peccioli è un’operazione basata sull’idea di invitare gli artisti a confrontarsi
con luoghi, storie, paesaggi, per opere che tenessero conto di tale contesto, mettendo in discussione la
separazione strutturale tra produzione e ricezione e prendendo in considerazione lo sfondo simbolico a cui il
cittadino appartiene. Il cittadino, pertanto, diventa sia fonte che indirettamente ispira il lavoro artistico, sia soggetto attivo attraverso il processo di apprendimento di una rappresentazione e di un contenuto simbolico
che lo coinvolge e lo riguarda da vicino.
Il sindaco di Peccioli, Renzo Macelloni, dichiarava, in occasione dei primi progetti, di voler “segnare la presenza di Peccioli nel campo dell’arte contemporanea ed aprirsi, in maniera concreta, ad una cultura che si
proietta verso il futuro”.